Parte Seconda, Libro Primo, Cap. III


DELLE LETTERE MISSIVE E RESPONSIVE, SCRITTE ALLA SIGNORE PICARA GIUSTINA DIEZ
 
Capitolo III
 
 

Quintiglia dal piede corto, in spagnuolo

 

El fullero escribe y pic

a

a la pícara Justina;

ella picando replica

y repicando repica

y con furiosa bolina

le demuestra

que su burla fue más diestra,

lo otro más provechosa,

lo tercero más graciosa.

En fin burla de maestra

en todo el mundo famosa;

y ainda.

 

Il picaro Pavone scrive lettere alla picara Giustina, burlandisi di lei non poco, in risentimento della picaresca burla da essa fattagli.

 

{Detti e sentenze.} Chi serve a gente ingrata, coglie frutto cattivo e perde il tempo; siccome perde il tempo la liscia et il sapone, chi lava il capo all'esino. Onde è ben ragione che trattandosi d'ingratitudine e discortese, si publichi la qualità della persona macchiata e di quella che pretende d'esser senza macchia. Qui appresso gustarai lettor mio gentile, alcune lettere scritte alla signora picara Giustina Diez di Mansiglia, dal chiachiaronissimo et ciarlonissimo picaro guercio, studente et barro, don marco Mendez Pavone, per occasione d'una burla grande, di peso e di tutta marca fatta da essa al Pavone, che dopo che fu passata in cosa giudicata, per lo spazio di nove continui anni, germogliò in questo tempo le querele e le lamentazioni al tribulnale del cuore; ma ora la lingua ciarlatrice del chiachiarante Pavone si mosse a scrivere la qui appresso lettera, alli quindici della sua penna, mandata per il corriero con la sua piuma et scritta in papel, idest in carta finissima bergamasca ch'è la più fina di tutto il mondo ed in essa spiegò et diede di piglio a spogliare la piuma; alla quale con un real e mezzo, ben lavorato et molto mal pagato, le publicarono la sentenza seguente inappellabile, per lo che era quasi, quasi negozio di molta importanza et di grande affronto; et ciò avviene perché chi è offeso scrive in pietra di marmore et chi offende scrive in polvere; non si deve però mai far male con pensiero, che li succeda bene.

 

Alla molto non illustre signora picara, la signora Giustina Diez di Mansiglia, sopraintendente di tutti i picari e picare.

 

{Lettera del picaro don Marco Mendez, a donna Giustina Diez.} Io ciarlatore e grandissimo chiacchierone don Marco Mendez Pavone lo ingiuriato, a te Giustina Diez, agnoletta tutta semplice, tosata a saltarelli, a te dico che comprasti a prezzo della tua vergogna, quella ch'io tengo per i miei danari, che di miei hai fatti tuoi; sicché i miei sopravanzi sono caduti in te e te ne hai fatto mano liberale. Per questo io ti scrivo e con scrittura autentica fatta di mio proprio pugno, in virtù della quale io ti invito e sfido a campo aperto, per farti vedere che le tue false impaginazioni essercitate verso di me sono state verissime ribalderie, da me sopportate non con minor pazienza di quella che tu mostrasti nella insigne scola picaresca, mantenendo contra il picaresco stuolo, e con valore i tuoi punti e defendendo tra onorati pari tuoi conclusioni rare e grifaldine, con forze di caprone e con ingegnio di asino, contro cotesta caterva di studenti scapestrati: guernita di vestimenta stratagliate e squarciagliate e di mantello curto e da consiglio per la sua isperienza e senza pur un pelo, per una pelantissima infermità e per una pelata paura fattagli da un guattaro francese, di maniera tale ch'egli restò come tu pelata che mai più hai potuto germogliar peli; e te diportasti tanto bene, che con saggie risposte ed atti gagliardi risolvesti tutte le loro obiezioni, come fievoli e vane e questo perché tu eri licenziada di quella università. Ma non puoi già negare che una delle mie vagliano per cento delle tue: perché per una parolina che io in aria ti dissi, burlandomi della tua medaglia, armasti tutto l'essercito dei tuoi chimerici pensieri, che ha posto terrore e spavento nei vasi di Toledo e nelle casse di Siviglia. Credimi, che in buona filosofia naturale, la qual tu molto ben sai e più tempo fa la professi, con sensibili atti pratici, di quanto in essa si tratta, che tutte le cause sono migliori, che il suo effetto e pertanto si conosce che la mia burla fu migliore della tua, poiché ella fu cagione che tu generassi e parturissi quella che facesti a me: e certo se il parto non veniva a termine, tu saresti scoppiata e crepata, con quel desiderio di vendetta in corpo. Oltre di ciò tu sai che ogni licore mescolato non è tanto perfetto nella sua specie, come è il puro: e poiché la mia burla fu burla da tutti i quattro lati, senza bruttezza o scheggie, né mescolata con dispiacere, non meritava ch'ella fusse tenuta di vendicarsene; fu burla più perfetta nella sua specie, che la tua, la quale con imbrogli di verdadera azione comettesti un perfetto latrocinio. Credimi, che così come si tengono per male le burle dell'asino e d'altri animali della sua specie, perché non sanno burlare, se non imprimono e stampano ben bene la unghie ed i piedi a danno di chi si sia; così la tua burla si deve chiamare asinina, per quanto d'essa in me segnalasti le mani ed anco le unghie. Io di più ho visto burle che con l'amor finto, pare che gettano saette e che con li stridi fendino le pignate e con un tiro saltante di mano spumano le borse: però tu, non con dimostrazioni d'amore, ma bensì con titolo di cambio mi trapolasti, dandogli nome onorato di leal baratto: questi sono tiri di picara vigliacca e ladrona, come tu sei. Ti prego che se altro cambio ti cade in animo di fare a questo tono, lo primo che farai, sieno coteste tue mani, in pena, che ben sotto sotto tagliate ti siano le unghie, perché meglio e più pulitamente calzar ti si possano i guanti: e non solo che (se non avverti a' fatti tuoi) troncarannoti le unghie, ma anche i passi. Si vedranno prima volar gli asini, che tu mutar vezzi di picara. Buon pro ti faccia, come fa l'oglio alle scardole: o veder io ti possa a far un salto e restarti a mezo l'aria o tra Marco e Todaro con un piede appesa: e sappi che vi giugnerai, perché chi la fa, l'aspetta. Non ti lodar tanto no della truffa fatta, perché veramente io pensava dartela, ma a baratto d'altra cosa, tu sai bene di che; e l'averesti fatto con più trotti, che passi o sebbene ti ricorda, andasti di buon trotto dalla chiesa all'albergo, per barattare, anzi barrare me sempliciotto; questa è ella virtù o vizio? È vizio, che qual catena di molte anella, tanti più vizi hai tu; che però molto minor inconveniente è cadere in un altro vizio di manco carico, che non averà obligo di restituzione, come hai da fare tu se tieni anima.

Non ti dichiaro il vizio, perché tanti ne hai che pochi più aver ne puoi. Mi dirai, signor licenziado, non vi alterate: tutto passerà. Anzi purtroppo il mio da te barratomi se n'è andato. Credlo, perché il vizio, che io dico ed il rubbare che fai sono di stretta camarata insieme. Per questo disse uno che i vizi sono conigli. Collà in Salamanca ti dichiararanno questo latino, nulladimeno dirotti, quello voglia significare: che siccome i conigli e coniglie tutti partoriscono e niuno è sterile, così un vizio partorisce più vizi che un coniglio coniglietti. Tu mi gabbasti: però possomi lodare d'essere da te stato gabbato, pigliando la medaglia tua per scudo e brocchiere con l'effigie di gran personaggio, dietro la cui ombra ardisti di offendermi e di salvarti ancora: solo m'incresce che per un fatto tanto picaresco, tu t'abbia poi ricovrato dopo un tanto gran soggetto e te ne stia sicuro: la va per te, mentre hai il vento in popa; tu stai bene, non ti movere ed a chi duol il capo, suo danno e questo tocca a me.

Et con che arditezza mi gabbasti? E come fu picara burla? Non mi potevi tu far burla in un paio di braghesse? Nelle quali, ancorché di seta, dentro non vi aveva un denaro? Per mia fé, che tu non ardisti di venire con me a faccia a faccia? Tu avevi il vento a gonfie vele, la fortuna aiuta i pazzi: a me non valse sapere, che io troppo ti credei ed è vero che chi più crede, meno sa; tu mi desti a credere che le lucciuole erano lanterne, io corsi veloce alcrederti, ma con le picare vigliacche pari tue bisogna andar adagio e non credervi nula nulla: chi crede a picare, diviene picaro: bisogna a voialtre non creder nulla, eppure anco non si sarà sicuro che anche nel non credervi vi sarà qualche nascondiglio per aggabbarne. Tu facesti ufficio d'una vigliaca picara e la più vigliacca che ritrovar si possa. Altrove alcune ne nascono, ma qui nascono ed a caterate aperte piovono e nascono e non è meraviglia, se voialtre tanto bramate quelle di noialtri, che anch noi bramiamo, pigliamo ed inganniamo, quanti possiamo: io credo che tutte voialtre e noialtri siamo nati con questo picante raspante, di tutto tirare a noi e verso noi e convertir in noi e quello che in nostro poter entra una volta, di non mai spossedersi, né restituire: e siccome il promettere non sta per attendere, così il pigliare l'altrui non sta per rendere. Et ciò avviene, perché l'uso è tale ed ogni uccello fa il suo verso; ed ogni botte dà del vino, ch'ella ha; e chi è tristo, non facilmente diviene buono, perché ogni simile brama il suo simile. Ciò facesti tu nello ingannare il re picaro don Pietro Grullo, che lo spogliasti con tutti i suoi cortegiani senza veruna pietà; anzi al sono strepitoso di nervose sferzate lo lasciasti senza avere, né possedere. affé, affé, se meco avesti avuto a trattare, che v'averei dato un cavallo senza brache, con sode code di volpe; ed averei battuto ben bene la polvere fuori del pellicione, che saltata saresti con prescia, non meno di Grullo giù della caretta. Io giurarei che tu hai divvolgato per tutta Spagna la burla fattami.

Questo credo io e lo tengo per certo, che le donne non sanno tacere cosa alcuna ancorché sia la caca, il coco ed il cucco, che in buona favella vuol dire che non sanno tacere quello che cacca li bambini; e se veggono un verme in qual si sia cosa, ne fanno istorie e sono simili al cucco, il quale, perché altro non sa dire, beffeggia gli altri, quasi dicendo, tu mostri il cucù, idest, il sedere. Gran prudenza certo di questa loro loquacità, buona per me, ch'io non le dissi che di lei io ero gravido, per le melate parole e per il vituperevole inganno ch'ella mi fece, che avendo ella per innanzi acquistato il soprannome e le opere di ostessa burlevole, dirà forsi ella che con l'opere di queste sue picaresche invenzioni mi abbi ingravidato ed accioché lo credono farà ogni diabolico scongiuro. Innocentina e con che sincerità mi offerse di prestare li cinquantacinque reali ed un quarto. Ora mi rivolgo a te e dicoti che il quarto tu lo dii al tuo Belzebù per la cognizione delle sue a te prestate malvagie opere: perché non è convenevole che paghi il giusto per lo peccatore. Gli cinquantacinque reali serbali, perché, se fia bisogno, tu possi dire che una volta avesti in tuo potere tanti reali, essendo che passerà molto che anderanno in fumo, conforme al proverbio che la robba va, donde viene. Non ti ricordi, oh picarissima delle picare, di quel scatolino d'avorio e di quella borsina che ti donò uno de' tuoi novizi? In verità, se cadauno de' tuoi novizi ti avesse a dare una borsa ed un scattolino, molta quantità ne averesti e da qui innzanzi ne averai bisogno per impirli della truffaria fatta a me di trecento e quattrocento reali, che mi levasti, oh vigliaca, in un soffio. Ti pensi forsi facendo queste male operazioni d'esser tenuta per persona che abbi anima? Non lo credere; perché niuno ti crede: le tue malvagie opere tutto ciò cagionano. Non ti voglio inculcare di questo, né metterti in dubbi scrupolosi, che io so che tu scrupolosa non sei, che se tu fusti tale, faresti de restitutione in integrum; ma perché sei priva di scrupolo, sei priva anche di anima, cioè che tu non hai coscienza di veruna cosa, che così sono li picari e picare pari tue e credimi che se tu hai burlato me, verrà tempo che molto più serai burlata tu e pagherai il fio delle tue commesse ribaldarie. Ahi guidonaccia, ahi nuova Parca di borse, Cariddi del denaro e Silla della pezza d'oro, voragine di cappelli, Crapulona di ferrariuoli, archivio di trufferie, contessa de' zingari e picara di furberie sovrana. Supplico la tua sfibbiata ingordaggine ad accettare cotesti titoli, sendone di molti altri meritevole, che appresso ti saranno dati. Non t'imaginare che sia grandezza il dimenarsi tanto per far burle truffesche agli uomini, che alcuna volta gli venderai per lana e per lana di caprone: e poi che ti compiacesti di farmi la burla col fingere di ritrattare e di stornare il baratto, ponendoti e covandoti della manica la medaglia d'argento dorata; non era mo' meglio ciò fare a faccia a faccia e non voltar mantello come facesti? Questi sono termini da ceratani, da zingani e da galleotti, che tutte le loro operazioni tendono direttivamente ad ingannare e tradire le genti. Non ti attristare, ch'io non ti addimandarò il furto fattomi per via di giustizia, perché io so che tu non temi bacchetta lunga di superiorità: però non ti prendere giuoco di me, apparecchiati ad esser ben pettinata, che non lo ben strigliarti, ti farò vomitare a creppacuore le tue sceleraggini.

Non ebbi pena e cordoglio de' trecento e più reali, poiché in una sentata io guadagno più agli hidalghi della tua nobil terra; ma quello che più mi pesa, è l'avere mal impiegato il mio in te succida e fetente picara. Tuttavia non posso rattenere di non chiederti della tua salute e se ancora hai rasserenato l'anima tua; perché quelle della tua età tengono non una, ma sei anime e meza, volli dire che hanno fatto presa di buono incalmo, per sei e più creature, che tu da tanto non sei ancora stata, sebben sei stata zappata, potata, rastellata, roncata e vangata, nulladimeno il tuo mal terreno non ha reso alcun frutto, tanto sei vigliacca e dappoco: basta dirti che tu sei un pezzo di carne con due occhi, tu eri e sempre sarai una da nulla, oh povero pane, da chi sei tu mangiato; tu sei tanto dappoco, che le core ti mordono e per gran fame che tu avessi, al sicuro ti lascieresti uscire di mano i cefali cotti, ch'è un dire che tanto dappoco vigliacca sei, che i trionfi in mano tua si muoiono; tu non sei per altro che per un bel parere e chi ti mostra il viso, rimani a ciascuno un guardaviso.

Tu mi dirai ch'io sono stato il tuo cembalo, quasi dicat che mi hai tenuto per un meno, che da niente: tu dici bene; ma dimandane al signor correggitore, che ti dirà ove si piantano le carotte. Io sono Marco, che ti chiama Marca e che Marca? Dillo tu, di che fine marca sei, perché sei di tanto fina marca che più non hai oro di marca. Deh meschina vanne, vanne all'ospitale; non sai che Giustina innamorata e Scapina liberale, ne van tosto all'ospitale? E con questo ti lascio in mano di medici, di cirugici e di mangia tocchi, i quali ti ridurrano al tuo albergo, alla quinta carriola ove patirai le tue tante felici prodezze e le tante afflizioni, che hai reso altrui e digerirai le altrui truffate sostanze; e impararai a servirti di scatolino a smalto, di borsetta a perlette e di pezza d'oro, per privare in un punto Atlante con tutto il suo peso: ma non sempre la ti andarà fatta, che al sicuro lasciarai la coda nell'uscio; né ti valerà chiamare aiuto, se non quello che a levar ti ha la vita. Fatta nel general delle leggi, nella Università dello spasimo, ove delle tue malvagità resterai per mai sempre attonita, ammirata e crucciata. Di Salamanca ov'è scritta e di Toledo ov'è suggellata; nel mese del tuo giumentiglio cenericcio, a' 27 d'aprile; l'anno della mia afflizione e delle tue beffe.

Io, ben veduto e meglio da te maltrattato ed ingiuriato.

Don Marco Mendez Pavone

 

 

Al signor don Marco Mendez Pavone licenziato de' più eccellenti chiachiaroni, picari, barri e ladri di tutta Castiglia

 

 

Giustina Diez in risposta della tua. Tiscola, tenera, latuche.

 

Io la licenziata e saggia Giustina Diez, per altro nome chiamata Gusmana di Alfarace e picara illustrissima di prima catedra, a te Marco Mendez barro giuocatore, chiacchiarone abondantissimo, burlone di parole e burlato di opere, narice, anzi nasone di lambicco; occhi rivolti e rovesci di scarlato; corpo o sacco da farina, gambe di rastrello, piedi di giumenta, che a prezzo delle ingiurie licenziose che mi dicesti nel viaggio di Mansiglia, comperasti la privazione ed il trappasso giuridico d'una buona peza d'oro e perle che tu dici essere in mio potere, salute, grazia e sapere; dico salute, che ti bastoni e scoppi; grazia, che miglior ti venga che la mia; e sapere, accioché non ti lasci ingannare, né gabbare.

Primieramente, in virtù di questa mia, come scrittura di publico mio magistrato, v'innibisco che di me non apritte bocca, poiché ragione non avete, perché essendo un beffeggiatore, così publico e che date noia a questa e a quella: io vi commando per la potestà che ho sopra di voi e di tutti li altri pari vostri, che per tutto il tempo che durerà ad uscire l'infelice anima vostra, non dobbiate ingiuriare alcuno con detti, né nella borsa con fatti (e questo durando la nostra vita) e che di buona pazienza vi armiate, quello dico ch'ebbe la caritativa vostra madre, in udir chiamar suo marito, vostro putativo padre, figlio di Cornelio Tacito per via di femina e per via di uomo di un marrano chiamato Rabbi Sidrach.

Non potrete negar ora signor occhi rovesci, che una mia vale per mille, poiché di un sol colpo, io v'ingannai mille generi di cose, la cui somma da voi stesso potete fare, come a quello che più tocca e principalmente avendovi toccato nelle tre potenze dell'anima ed anco in quella della borsa.

Nella volontà vi toccò, poiché con faccia di amore giungesti al salto e rimanesti ad adorare il pilastro o la colonna, come il cieco di lazariglio. Nell'intelletto, perché io vi feci vedere per la tela del settaccio e credere ch'io aveva gran vergogna di voi, eppure non vi stimavo un pelo veggendovi tutto mal franciosato, salvo il guanto e la pezza, la quale era sottoposta già al mio dominio e non mi ingannarei s'io dicessi che il profumo della burla fattavi giunse, anzi è giunta ed internata nella nostra memoria e talmente che di me e mentre durerà il nome e vita di Giustina, la qual Dio longamente conservi e voi ancora, ancorché siate i mille pezzi e come poste in salamoia, sempre vi ricordarete e questo a fine che ognuno impari a fuggire le vostre furbesche vigliaccherie. Voi ponete diffetti alla mia burla? Burla che tiene più opere che non sono tutti li vasi di Toledo e certo che egli non ne ha tante quante sono l'eccellenze contenute in esse; però s'io fui l'inventrice dell'artificio, voi fosti il pagatore del travaglio. Considerate ora voi, che è quello di noi ch'abbia fatto maggior guadagno. Con filosofia voi mi citate o sferzate? Io non so quello sia filosofia, né d'essa ne ho mestieri, perché per saper io che i vostri occhi non passarono per l'ordine commune di naturalezza, né le vostre barrerie si fecero conoscere nella tassa o tariffa delli onorati, essendo voi difforme nelli occhi e disonorato, professando le furbarie infinite che fate e perciò io no ho bisogno di cotesta vostra filosofia naturale, né morale, nemmeno di provedermi de' savi della Grecia. Voi vi pregiate che la vostra burla partorì la mia, vederete voi ch'io mi servo della vostra e di voi insieme come di giumenta parturiente. A me sarebbe di poco travaglio se conversassimo insieme, a farvi ogni settimana sputare e partorire più che una poledra di quelle di buona razza, che se fossero tanti muletti, come voi, al sicuro farei na mandria copiosissima. Ridomi e non poco, che repudiate la mia burla, per esser mescolata con verità. Ora sapete, perché prima non lo dovevi sapere, che tutte le cose viventi, quanto più perfette, sono tanto più miste. Picariglio mio, la mia burla era viva e viverà et accioché fusse più perfetta, la feci mista e questo è perché io sono speciala tra cristiani e non mi curo de' semplici come arabo o moro e bastami a darvi pillole, che vi facciano buon profitto. Non vi è bugia senza mescolanza di verità, né male senza mischia di bene, neanco pazzo, come voi sapete, senza mischia di discrezione; ma voi per esser tanto balordo e gofo incominciasti a sonare alcun poco i discreto, ma non toccasti i buoni tasti. Il tempo che vi durò nel burlarmi di me, voi me lo rintuzzate? Ditemi, non tenete voi per buona burla l'essere voi un gran barro de' giocatori, poiché le vostre barrerie, non vi hanno perciò foderato il pelicione di pelle di foino? Deh, tacete, che bel tacer avete, né mi fate dire che per voi troppo sarà il mio dire; la mia burla non tiene luogo d'esser chiamata scherzi, ch'io riceverei aggravio con questo nome, ma bensì è burla reale, fatta con titolo solenne ed inghirlandata sopra il capo del maggior asino picarone di tutta Spagna. Sapete come potete chiamar la mia burla? Chiamatela scherzi e burle di foino e cambi di là qua, piglia là. Ella è di mezo sapore, perché ai pazzi, come voi, simili scherzi e burle molto bene vi si convengono; e se non vi piace questa, io m'accingerò per farvene un'altra molto più sensibile e notabile, prima che mi siano cortate le ugne; che vi pare di aver detto una bella sentenza, a me ciò non avvenirà, ch'io sono giovane accorta ed onorata e ho più ingegno e prudenza di voi, poiché ho saputo barattare il mio argento col vostro oro, però per il dubio della vostra professione vi convien portar i guanti e metterveli assettati, ma usate una picara furberia, che per ingannare altrui attacate le ugne al di fori via facendo a questo ed a quello mille ladre burle, anzi vere barrerie; e ciò fate senza aver bisogno di forza di schena di mulo; anziché mulo sete o per la forza che tenete, il tutto vi riesce e con tanta leggiadria, come fa un fanciullo a scaricare un archetto. Della intenzione, con che pensavate darmi la vostra medaglia, non avete pensiero però per mancamento vostro di dirmi il perché; che io credo che nella vostra saccoccia abbiate mille chimere stravaganti: sappiate che una cosa pensa il baio ed altri li pone la sella. Non tenete, né tener dovete per consiglio utile e sano il dar gioielli dadi, che non vi è il peggior giuoco che il dado; e voi stesso, che ne avete fatto isperienza più d'una fiata, ben lo sapete, che dado non vuol dire altro che dare mille guai, mille cordogli e mille pene a chiunque essercita dado. S'io ritornai dalla chiesa all'albergo con prescia, fu per visitar voi, perché sapeva di non vi ritrovar giammai in chiesa; perché piuttosto sareste trovato in mille osterie, che in una chiesa ed il simile essercitate e li vostri essercizi sono lontani dalla chiesa. Li consegli che voi mi date di sciegliere ed abbandonare li vizi che non obligano a restituzione; la coscienza vi sia di ciò rimorso, tal consiglio pigliatelo per voi e ne avete di bisogno molto, religioso della primiera, nel quale mi dicono che col maneggiare e sciegliere le carte, voi gettate sulla tavola a tratto per tratto molte primiere, che ciò non si può fare se non con la destrezza delle mani e col serbare un asso, un sei, un sette: e però siccome voi insegnate a sciegliere i peccati, voi per voi stesso avete imparato a sciegliere le carte buone per voi e le triste per gli altri. Quante giottonerie barresche avete voi mai fatto in vita vostra? Quanti furti ed inganni avete voi commesso? E per dirla in una parola, voi come gran picaro e picaro vigliacco e ladrone avete tradito, ingannato ed assassinato molti e molti con le vostre barrarie. Che pensate voi d'essere? Che credete voi che le persone vi tengono? Vi tengono per un barro e vi hanno e sete un ladro compiuto; e tanto più, quanto che avendo le carte in mano non basta il far primiera a gusto vostro e quante volte vogliate voi, ma vi mettete anco al far flusso e flusso dell'altrui borsa; e io, che non giuoco di primiera, feci flusso della vostra medaglia d'oro con carte di nulla; di nulla dico, perché col mio flusso d'argento presi e fui vincitrice della vostra pezza d'oro. Andate ad imparare, oh signor barro, che non sapete giuocare: io ho saputo giuocare meglio di voi. Et poiché voi sapete che i vizi vanno di camerata insieme con voi ed il barro per voi e per i barri, tenetevi a questo consiglio, accioché quando vi capiterà giovanotta della sorte mia accompagnata dal suo picariglio e con qualche altro scioperato, sapiate come governarvi, perché non sempre pescando si piglia il pesce che si vorrebbe: non pensi che l'oro sia sempre oro, convien aver buoni occhi a conoscere l'oro argentato e l'oro come oro; eppure avesti con voi un orefice che conosceva l'oro, ma vi bisogna condurre un altro che conoscesse l'argento; se io vi diedi borsa e lo scatolino ingemato, erano fatti di mille fili e di mille gemme d'inganni, perché trattando con voi così convien fare e picarescamente ci conviene trattare per riuscirne a bene. Gentil agilità ed agil gentilezza, che una giovane inesperta abbia fatto cosa onorata, per liberarsi da un picaro barro par vostro. Voi mi pregate che io vi dia alcuna nuova, buone nuove voglio darvi: che alle cristiane vecchie sia lecito porta al collo una crocetta di legno e non d'argento, né d'oro, perché l'oro e l'argento serve per altre cose; ma per esser quella di legno vale molto contro i folgori di Giustina: ma voi come convertito, che non è molto, vi libererà da' pericoli d'ogni legno e di tre legni specialmente; e sappiate che alle persone discrete e prudenti nulla il succede a caso, perché col favore del cielo a tutte prevengono. Parmi d'intendere dalla vostra, che abbiate avuto notizia della burla a noi fatta da don Pietro Grullo e me la giurate anco? E che credete d'oppormi con dir ciò? Ah simplice simpliciotto con lui saldarò la mia partita, s'egli da me pretende nulla e se non basta le nervose sferzate che io li diedi per risvegliarlo dalle sue vane pazzie, altrettanto e molto più le ne darò per ristorarlo nel suo intiero ingegno; ed a noi questa medicina sarebbe ottimo rimedio per restituirvi il vostro cervello perso.

Deh meschino! Deh infelice voi, che pensate che sia il trattar con picara? Conviene aver gli occhi d'Argo e quelli di lince e tuttavia non bastano per guardarsi dalle fine mani picaresche. Non volli farmi la burla nei vostri calzoni o bragresse strasciate, perché io non me ne vogli servire per fare paura alli uccelli, né a' polli. Di più, che la burlata io sono stata, ciò potrebbe esser vero, se io mi vestivo de' vostri calzoni, dico de' calzoni delle vostre ribaldarie e pessime opere, che quanto a me ciò non mi si può dire, poiché a me è toccato spuliciare vestiti di scimmia e di balordo, ove ho ritrovato pulici d'ignoranza, pedochi di dappocagine e cimici di tradimento, che da voi ben bisogna guardarsi per difendersi da simili sorte di noiosi animali: e però voi come capomastro della fraterna balordesca, vi avvertisco a mutar cervello ed a fare più ingegno, perché li gatticini hanno aperto gli occhi. Voi allegate che io non fui a faccia a faccia con esso voi: oh che bel viso, oh che belli occhi da innamorare un carnefice, degno custode della custodia vostra. A questo vi dico per un capo che nel ritornare dalla guerra sono lecite le burle e gl'inganni. Per l'altro, che se il mio fu inganno, fu però a vista di officiali: e se il baratto fu leale, che chiacchierate d'inganni? Non mi potete già negare che con esso voi conduceste un principale e intendente orefice ed alla presenza vostra fece il saggio e lo pesò et disse esser oro finissimo di Portogallo; e tra voi due faceste ogni cosa, conforme al gusto vostro e che cosa andate voi ora cercando? Che vanie moresche andate inventando? La mia pezza, ossia medaglia, non ve la diedi io in un scattolino d'avorio tutto miniato e riposto in una bellissima borsa? Vi dissi anco che doveste averne buona custodia, perché quella qualità d'oro vedendo sovente l'aria si muta e si cangia in argento? Che cicalate dunque? Voi del vostro danno sete cagione.

Non vi prendete affano, che questa che voi dite burla, io sia per dirne nulla in Leone: voi avete poco sale in zucca, io non attendo a secreti. Le mie azioni sono onorate e come tali non mi curo di segretezza: ma le vostre, che sono di bassa lega, miniate di mille indignitadi, queste si meritano d'esser sepolte, con esso voi in un cesso fetente, accioché per mai sempre segretissime rimanghino; oltre di che, altra sorte di luogo se non questo voi non meritate. Le furberie presto s'iscoprono: oh quanti se ne trovano che per porsi in buon nome cercano coprire le loro picaresche vigliaccherie con l'usar amorevolezze a tali e quanti, non ad altro fine che per tirare l'acqua al suo molino! Sono gente che hanno sempre l'apetito in pronto e tanto mangiano il buono, come il cattivo, purché mangino dell'altrui et con faccia ridente gabbano questo e quello; così fate voi picaro picarissimo. Voi vi querelate di me, perché con semplicità leale e sincera io vi offersi quei pochi reali ch'io avea. Sappiate che a' pazzi, balordi e tutto scemi come voi, offerire si poteva ogni gran summa, perché non avete, né aveste, né sete per avere tanto intelletto, cervello ed ingegno, per attendere a voi ed alla salute vostra; e servavi per tema, che due lecardi non istanno bene insieme: perché dove è grosso intelletto, non sa chi si sia appoggiarlo ed incaminarlo al buon camino; e ciò avviene, perché non conoscono o fingono di non conoscere i cardi da' ravani, le cepolle da' porri e i meloni dalle zucche; e l'esser voi privo di questo intendimento, cagiona in voi notabile ignoranza e da qui aviene che voi vi appigliate al mal operare, seguendo i vizi e fuggite le virtù et il loro gran profitto, abbracciate questo e abbandonate quelle che non solo divenirete saggio, ma sano e così interior come esteriormente.

Vi maravigliate ch'io vi dessi la borsa del novizzo? Ciò feci con avedutezza, perché chi non vide, novizzo è. Se non è rotta quella ch'io le diedi, per vita vostra me la rimandi, ma con un poco di muschio, perché doppo che nelle mie mani ebbi quella bella pezza d'oro, con quel cordoncino, puzzava ed ancor puzza, ma non tanto d'un fetente odore di sudore di mulo, che per lavarmi ch'io faccia le mani, non mi posso levar un così fetido ambracane, anzi ambramulo e ambr'asino; che se fusse la ricreazione, che l'occhio riceve dalla bella pezza d'oro, al sicuro sarei morta ammorbata per il vostro pestifero odore: ma ove mancate voi, supplisce l'oro. Però se me la rimandarete, vi prometto quadruplicarvela, mandandovi un branco di bestie asinine e mulatine, cariche, a ragion di giusto peso di soma, di tanti sciochi, scemi e balordacci simili, ma non così eccellenti come voi e questi saranno la somma de' presenti de' miei novizzi, accompagnati con pezze da otto e da nove, per esca e aguzza appetito delle vostre mentecatagini e livrea, secondo il costume vostro, perché con questi occhiali si vede e si stravede, anzi si precipita e lo sa chi l'ha isperimentato, perché il troppo vedere e stravedere, sovente fa precipitare e chiunque precipita, totalmente si ruina.

Il far pregar Dio per noi, io lo farò volentieri e darò questo carico ad un cieco, che alla mia porta venghi a recitare ogni mattina alcuna bella orazione; ma con questo che voi mi mandiate la mia pezza del baratto, che fu d'oro, sebben voi dite che fu d'argento, che voi mi pigliaste con quei mezi e modi, che come barro molto ben sapete che a me sarà di profitto al corpo ed all'anima, laddove a noi è di molto danno, perché non sete punto cristiano divoto e se sete cristiano, sete nuovo e non vecchio e perciò poca divozione regna in voi ed ove non è divozione, non è riverenza ove non è riverenza, non v'è timore ove non è timore, non v'è amore ed ove non è amore, non v'è carità e voi non avendo carità sete del demonio e con quello (così vivendo) viverete e morirete eternamente. Il dirmi ch'io sia mala cristiana: a questo vi dico che dovete porvi la mano in seno e dire subito vostra colpa, perché essendo voi privo di anima, per le malvagie operazioni vostre, non potete far sano giudizio di me; non sapete che ogni buon cristiano che serve a Dio, con purità di cuore, vive contento e poi felice muore; e sappiate che chi bene farà, bene avrà: e che più aggrada a Dio la purità del cuore, che senza quella ogni apparente onore. Siate con Dio, che Dio sarà con voi. Ma voi non tirate per la buona via, perché il vivere onorata e cristianamente non è il barrare ed ingannare questo e quello e sempre usare dell'arte del demonio, il quale sempre incita gli uomini a diventar pazzi: e però come a pazzo che sete e capo de' pazzi e de' picari ad ogni punto non rispondo, perché che chi tratta con pazzi, liberarsene deve, se non riman anch'egli pazzo. Ma non solo sete pazzo, ma sete pigmeo e come tale non potete giungere ad una gigantessa di virtù, come son io. Ridomi che abbiate sottoscritto la vostra lettera col nome di Pavone; Dio ve lo perdoni; dimostrate poco senno, perché sendo voi tanto vigliacco, che io con questa lettera potrei farvi dare l'ultimo crollo: oltre di che vi pregiate d'esser mio parente, ciò non dite il vero, perché send'io giovane ben nata e qualificata ne' costumi, mi vergognerei aver un pavone, ladrone, barro e vaso colmo di tutte le furberie e guarnito di tutti quei freggi balordeschi che balordamente immaginar si ponno, perché il voler vivere di quel d'altri non è vivere onorato, né cristiano. Godete il vostro, se ne avete e lasciate goder ad altri il suo, non insidiate, non ingannate, non barrate e non truffate l'altrui, che se ciò farete, farete bene, ma far non lo potete, perché quel che si ha per natura, sin dalla sepoltura dura. Bona notte signor Pavone, anzi signor moscone, che fate il gigantone e sete un gran poltrone: e mi scordavo dirvi, acciò non vi alterasti per i vostri titoli, che sete un gra balordone. Et se per caso cercherete di appresentar questa mia lettera alla giustizia per dimandar quello ch'io ebbi contrattato in buona pace, con buon accordo e di commun volere, vi avvertisco ch'ella è lettera d'un scrivano morto e senza sottoscrizione: perché solo i balordi ed i pazzi negli affari importanti si sottoscrivono, come ben voi più d'una fiata avete sottoscritto e non mantenuto e sappiate che chi promette, deve attendere e se voi farete altrimenti, vi avvenirà di peggio, governatevi meglio e con più prudenza. Fatta in Salamanca nel mese dei gatti, tra le ore undeci e la bertuccia.

 

Moralità

 

Le genti dissolute ed ignoranti publicano i suoi picareschi misfatti non in voce, ma bensì in scrittura, ch'è un lavarsi il capo senza sapone ed il fare un grattacapo a se stessi: però i loro vituperi li troveranno descritti nel libro dell'universal giudizio ove gli saranno letti a gran confusione e vergogna loro. Oh quanto meglio sarebbe pentendosi arrossire, che non pentendosi impallidire? Ma chi un tratto ha perso la vergogna, più non se ne cura e non la racquista mai più; e questo avviene, perché han posto la vergogna sotto i piedi ed a questi tali dire si può: "Vattificca vituperoso in un cesso".

 

 

Il cavaliere don Sforzato, alla signora Giustina carrettiera, hidalga di Mansiglia

 

 

Signora Giustina picara di tutto peso, schernitrice de' virtuosi studenti, burlatrice dei sognori licenziati e sferzatrice del mio signor don Pietro Grullo, egli è pur vero che le belle parole ed i cattivi fatti ingannano i savi e i matti; e male d'inverno a trattar con voi arcifante rognose e peggio d'estate che puzzate da tutti i lati come i solforini. Questa vostra dottrina furbesca io credo certo che appresa l'avete da qualche ceretano biscaglino e tanto più a non dire mai la verità e dai zingani ad ingannare ed ad usare sempre la falsità: così si procede con gli hidalghi? Fate degli uomini e specialmente di me, che tanto vi amo, come s'io fussi un pallone? A che fine vendermi vesiche gonfie a misura? A che effetto trattarmi da baldone? Con che oggetto volermi dare ad intendere che la luna sia un pozzo? Se lo fate per gloriarvene tra voialtre donnicciuole, accioché io sia tenuto per un saltamartino, l'avete mal pensata, mal considerata e peggio dissegnata, perché io sono uomo da farvene pentire mille volte per la gola, col straragionare, cantare sdruccioli ed a fiume corrente dire delle vostre truffarie, poltronarie, ladrarie e ribalderie, che sarebbe meglio che nata non foste al mondo.

Voi mi volete pagare d'una moneta che non si può spendere? Invece di sodisfarmi de' molti meriti ch'io ho con voi: vi pare di fare una grande impresa a volermi dar d'intendere che l'aglio sia persico e che il sole sia di lattone e che la pioggia sia lagrime de' pianeti? Nel passato mi son contentato di credervi quello avete voluto per sodisfarvi, ma ora son sazio, né più vi credo un quattrino: gettate pur la rete dei vostri inganni in altro mare, che nel mio, ch'io vi so di certo, che non trovarete pesce da niente; imaginatevi e pensate di mettere in gabbia altri uccelli, che il mio, perché quanti scongiuri, quanti prieghi e quante cerimonie trovar si possono al mondo, non mi faranno più intricare con i fatti vostri e più che voi giurarete, tanto meno io vi crederò. Io vi viddi mai la miglior ora, che quando io m'allontanai dalle vostre false catene e dai vostri ingannevoli lacci, vi so dire ch'io era ben cotto, né più poteva resistere ai vostri pensieri; la causa fu l'avermi dato a mangiare caoli capuzzi indorati o che parevano almeno. Onde io sfortunato mi trovai fuori d'ogni sentimento e voi allora tutta allegra e contenta, facevate trionfo delle pazzie mie: ah che faremo poi, quando che 'l vostro bel viso sarà tutto grimo e gramo e crespo? Allora io vi farò le fiche negli occhi, lo specchio vi darà la burla, ciascuno vi dirà: oh che bella maschera modenese! E voi ciò udendo sospirarete, maledirete e creparete da stizza e da colera, perché voi non averete più cagnolini che vi lechino e festeggino: allora sarete forzata da vostra posta bandirvi dai perdoni e dai concorsi, non starete più del continuo alle finestre, ma vi converrà stare al fuoco e far compagnia alla gatta, questo sarà tutto il passatempo che averete e per penitenza de' vostri comessi falli sarete forzata di dire dieci volte al giorno la corona, accioché il Creator del tutto si scordi le truffe, i mariolamenti, li fingimenti e mille ribalderie, che non avete fatto ai vostri amorosi; ed io allora con la mia chitarra anderò cantando:

 

Di dar fien a oche non è più tempo.

O picara maledetta traditora,

son pur dalle tue man uscito fuora.

 

Il maggior gastigo che a donna dar si possa, è il rifiutarle e non ne far conto; e non è dubbio che grande dispetto se gli fa, ma non meno quando non si mirano e parlando con altre e ch'elle odano, iscoprire tutte le lor vigliacherie: allora sì che divengono rabbiose come cani e tossicose come rospi. Oh quante hanno fatto del continente e delle dabbene, che nello stesso tempo assassinavano questo e quello? Ma i poveri uomini che accecati nell'amore erano anche impazzati, amaliati, ammartelati, senza occhi, senza cervello, senza verun altro sentimento e senza governo di se stesso, della sua famiglia e della sua patria, i quali, come barca sciolta, senza timone e remi e portata dalle acque o dal vento in mille giri: ma come passano quegli primi ardori, quei furori, quegli apetiti, abbandonano la sua famigliaritade e conoscendo d'aver avuto cattiva vita, incrudeliscono di tal sorte, che d'amici diventano nemici capitali di voialtre diavoline, ma se sono tardi al pentirsi, insino all'uscir dell'anima, dicono i meschini: che ho io fatto per starvi in grazia signora mia e accioché per vostro servitore mi tenesti e che agrado m'avesti? Ma adesso tutto è perso, tutto è gettato via, quello che ho fatto è stato niente, perché chi ha da fare con un ingrato come voialtre, non aspetta per ricompensa altro che villanie e improperi. Finiamola voi starete sulla vostra giurisdizione et io sui miei terreni; voi goderete la vostra spettabilità ed io conserverò la mia gravità e tenetelo per certo ch'io ho saldato la partita, datovi credito e cassatala con terminazione determinata di non esservi mai più amico: anzi voglio secreto e palesemente spiegare tutte le vostre picaresche azioni, accioché ogni uomo vi tenga per quella che voi sete. Io so molto bene che tenendovi voi di così alta ed eccellente condizione, non vi metterete a pensiero queste mie sdrusite parole ed io all'incontro non spenderei un quattrino di questa vostra eccellente intenzione, anzi vi faccio intendere che per maggior vostro dolore, passione e ramarico voglio ogni giorno passare avanti la casa vostra e se vedrò qualche uccello che gittar si voglia nella vostra rete, lo disconsiglierò con tante ragioni ch'egli non tenirà punto conto di voi come d'un pezzo di carta da fare quel servigio e così sarò cagione che quell'anima esca dal Purgatorio delle vostre mani, oltra di che tutte quelle sorti di dispiaceri, che con mio onore vi potrò fare, siate certa ch'io il farò: e se desiderate farmi favore, non mi guardate, non mi mentovate e non pensate nulla di me, come se mai conosciuto m'aveste e tanto averò ciò a grado, quanto ogni gran cosa che mi potessi avere di mio gusto; e potremo dire, piva per tutti, che il ballo è compito; e questa mia ricetta vi farà venire il spasmo al cuore, che divenirete paralitica. Et per darvi qualche gusto, vi mando la qui alligata, mandatemi da personaggi da voi ben conosciuti e diretta a voi, col titolo di sferza nervosa contra la vostra picaresca vita. Emendatevi e fate cervello: addio.

 

Moralità

 

Niuno deve amar donna, se non con mente pudica: ma deve dirizzare ogni suo spirito in amare, riverire ed adorare il Creatore e non la creatura et chi lascia quello per questa, è un dimostrarsi ingrato et dar a conoscere di non avere carità, perché chiunque rifiuta il Creatore per la creatura, non può avere zelo zelante di carità; e siccome alcuno non consigliarebbe il far male, così egli male alcuno non deve fare, né consegliare.

 

 

Sferza nervosa contro le donne picare, di don Lopez di Vega.

Dirizzata al signor picaro don Gusmano d'Alfarache(1)

 

 

Se io credessi, oh mio signore protomastro picarantissimo, che la sodezza di questo spumante avviso dovesse fare qualche buon effetto o potesse quella salute recare, perché a guisa di farfalla, di notte tempo sete andato sovente, anzi pazzamente cercando l'orso a Modena, io certo accinto mi sarei a tal caritatevole persuasione, che o nel discorrere sarei venuto meno o tanto più acquisto fatto avrei, che verun errore picarante commettere; non per altro che per farvi ormai conoscere che indegnamente cercate imitare o riverire un Medea, una Circe, una Rosa partenopese, una furia infernale ed una vigliacca picara e quel ch'è peggio, la lor vita menando. Sappiate signor hidalgo, che la vita picara oggidì altro non è, che un albergo di Tantali e d'Atrei, immondissima sentina di sozzi vizi, ricetto infame di mille iniquitadi e disonesti postriboli, ladrona d'ogni bene ed un abominando asilo di sfacciatissime picare. Or diciamola come va: voi saquassate il capo? Non è egli forse vero che sciagurata picara amate voi, la quale a briglia sciolta il dominio suo in potere d'infiniti drudi lascia? Diciamola pure, in una stomachevole vigliacca e fetida carogna vi sete inveschiato? Questi sono gli eccelsi vostri concetti? Questi sono gli onorati profitti? Questo è un imitare le vestigie de' vostri antenati? Ed in una tale che di voi stesso fa sì tumida e ispantevole mostra, che ad ogniuno le orecchie piene di orribilissimi prodigi riempie? Ah signore, che atroce ricompensa al vostro genio donale? Sete pure nato hidalgo della vostra villa e non vi avedete che nel fervore di questi vostri picari diletti, alimentate, con tanti danni vostri così sporchi costumi? Non forse ben mirate, che nei semi di tanti piaceri vostri, pruni e spine di rossore, squalido di doglie picaranti, pian piano in voi stesso andate introducendo? Ov'è la cognizione del vero onore, da tanti secoli riverita e da voi posta in dimenticanza? Deh miserello non vi accorgete che precipitosamente traboccando andate in mille picarissimi lacciuoli? Sarà sempre, signor hidalgo mio, tarda ed importuna la pietà vostra, se un tenor di perpetua crudeltà in voi stesso nudrendo, per favorir pensieri così scelerati, voi stesso vi condurrete a morte? Or dunque è vero che una sgraziata Giustina picara amate voi? E che pro ne sentite? Che allegrezza e che gusto n'avete? Ricordatevi che tutto quello che si può da questi vostri picari amori sperare, sarà sempre un'empia e malintesa conseguenza delle passate vostre, poco onorate azioni e per dirla, un'infame inscrizione, che ad ognuno sempre indubitata fede farà delle vostre stoltissime pazzie; e questo sarà quanto ella v'andarà per premio preparando. Ah signori miei, che 'l volere e non volere nelle menti nostre ordinato molto ben viene, se vogliam noi dalla ragione nostra, voleste già amarla, ve ne compiaceste tanto, che fu ella dolce esca del vostro cuor un tempo; fu picaro mantenimento finalmente de' buoni e saldi appetiti vostri; or vi prego non più vogliate amarla! Chi vel vieta? Ad altri diletti v'invito io, ad altre esche richiamato sete ed ad altri appetit, sel consentirete, voi sarete risvegliato; chi vi sforza dunque? Chi vi tirannegia? Chi vi sterpa come dite voi il cuo vostro, se altrimente operate, se di voi stesso non siete lo spietato amministratore? La ragione ov'è condotta? È sì in voi adormentata e affascinata, che non sappi e non possi da questo profondissimo letargo scuotersi alla fine? L'amore ne' cuori vostri è come un di Mansiglia, che furtivamente se n'entra ed alla grande passeggia e con grand'impero e per diversi pertugi manda queste renitenze nel bene, me se avveduti ed arditi se gli opponiamo, chi non vede, che facile sarà lo scacciarlo anco fuori e diffinitivamente da voi sbandirlo? Può esser per elezione, può esser per iscontro fortuito, può esser anco cagionato dall'oggetto presentato alla potenza visiva. Sia come si voglia, a tutti questi si può, volendo noi, dar libero congedo; se elezione ad amar vi spinse questa famosa dea del picaresimo, l'istessa fate vi svogli: non sapete che eius est nolle, cuius est velle ed e converso oprate col tempo se segreta violenza altrove vi porta, da quel cibo che per voi conoscete maligno, astenetevi; fate che più non osi ne' pranzi vostri a comparire e così della pace vittorioso goderete la palma. Indiscreta e mal accorta ragione, che ben possiam dir cieca e pazza volontà; e s'ella vi spinse a seguire, perché non può ora, come reina insegnarvi a fuggire? Il tempo che giuocando andate in sì infruttuosa vagazione, non vi rincresce dunque? Non credete voi un giorno (che troppo forse non starà a venire) di non renderne minutissima ragione? Non v'accorgete di grazia, che siete senza Dio, senza voi e senza l'amata picara? Senza Dio, poiché lui non adorate senza voi, poiché in altrui balia posto siete; e senza l'amata picara, non la possedendo come credete. Se le reine Semiramis, l'imperatrici Massaline, le Meteli di Lucio e le Olimpie del magno Alessandro, in vaghezza sì fastosa ascese, di soggiacere a quadrupedi non si arrossivano, che far potrà una vil picara? Non è signor mio, non è questa infanta dello spedal picaro tutta vostra no, e voi forse lo credete? Ricordatevi di quella Massalina che pur mentitamente fingendo di esser satolla dell'amor di un suo vago giovanetto osava molte volte di affermare che altri, che lui nelle amorose sue piume non admetteva, eppur fu vero che picarescamente duellando un giorno con una sua simil a lei per vincerla, mi cred'io a sì famosa lotta disse che fra il giorno e la notte, ne consolava trenta, che poi anco non contenta di lei, fu scritto lassata viris nondum satiata recessit. Ad irragionevoli si sono sottoposte queste picare, a cani, che m'arrossisco et insieme meco s'arrossisse la penna, a' babuini, a' tritoni uomini marini, a orsi, per isfogare quel loro rabbioso e furioso prurito; che ben puoté dir quel cieco re dell'Egitto (divenuto tale per voler ferire co' dardi l'onde del Nilo) che altre, che una poverella ortolana in tutto il suo regno non aveva ritrovata casta e questa forse, perché non fu pregata. Ritorniamo al nostro discorso e lasciamo il rimanente ad Aristotele e diciamo che l'amo di ogni male è la lussuria, avvenga che per essa restano gli uomini perduti, a guisa del pesce appunto, offusca ed ammorba la bella luce dell'anima, impedisce ogni buon consiglio e con mille allettamenti inonesti gli uomini distrae dal diritto camino della virtù, precipitandoli alla fine nell'abisso d'ogni confusione: e voi questa seguite? Ricordatevi, poiché tanto fate del Rodomonte, che luxuria enervat vires, roburque corrumpit ed intanto che tempore procedente, potrete per felicissimo lanternone notturno agli occhi degli amici vostri arditamente mostrarvi, tanto diverrete sciutto, picarante e lampante al cospetto loro, che mi conviene ad assomigliarmi a don Ceruzan, che con la tiorba incantava i topi. Ma che cosa è amore sensuale e per più domesticamente con voi favellare, se non un pericolosissimo furore, per lo quale tanto si aviliscono gli uomini, che non sprezzando, come devriano, di sottometter il corpo e l'anima all'incostante volere e sfrenato corso d'una pazza e folle picara, nata, cred'io, non per altro che pel disfacimento vostro e d'altri simili a voi, che se stessi cotanto mortalmente offendono: aspro e duro pensier sia questo et voi infelice amante, a che vaghezza condotto vi veggio? Ma che dico vaghezza, al cui macello, per i crini degli disordinati appetiti infaustamente vi miro a muggire? Sporcissima et immondissima mandra. Ben ricordati che dopo l'aver sì empiamente pe' palaggi tanto fastosamente danzato e nell'altrui cordogli sì domesticamente trionfato, ti potrò anche vedere ed a mio bell'aggio mirare nuda, scapigliata, spelata e delusa per trionfo di tante animuccie languir ne' propri seni delle commodità mondane; orsù mi riduco alla conclusione e vi dico da dovero, che amando picara sì fugace, seguite femina di ogni mala femina il bittume e meglio saria per voi e per ognuno, che il cuor tiene ammaliato, che ne' deserti oscuri si ritirasse, che nel seno di queste picarissime sirene; credete voi di estinguere co' l'oglio il fuoco? Ah signore, che fuoco giamai fuoco non spense? Tempo non è per voi questo: ritiratevi e se potete e se il vischio non vi ritiene; ritiratevi dico, perché il volo vostro qua giù non tende. Non per altro di vago e di bello sono nel mondo state introdotte le femine, che pel mantenimento di esse, a cui voi destinato non parmi; deh signore, che sarà un rompere l'argine all'impeto delle vostre buone vocazioni, questo lasciar scorrere con sì formidabil torrente tante innondazioni picaresche, che altro il mondo non pute: lasciatele per fachini e simili operari (le cui forse si ponno bene chiamar virili e fiere) e crederei che fussero state lasciate le picare per questa conversazione, acciò con quelle loro fatticose e morbide pazzie la generazione propagassero, ma per uomini che del delicato e del morale sappino, non già. Potete voi e ditemi il vero, tante immondizie, tante lordure e tante ribalderie sostenere, che a pensarvi solo divengo meno e ne' tempi quando più serve e avampail sole? Puossi animale scorgere, che più soggetto e sottopsto alle putredini viva che questo della picara? Quante distillazioni di capo, quanti tumori, quante scabbie rabbiosissime e broggie si veggon in queste? Voi segretamente certo spiato non avete quelle fetidi buche, quelle cave profonde, quelle mostruose, orrende ed affumicate fucine, ove non altro per sempre spira che un fetidissimo lezzo ed un pestifero puzzore; e vedesi un'oscurissima e densissima nube carca di quei vapori lunari, che cotanto da' medici sogliono esser velenosi addimandati, da somergervisi, chi anco avesse l'ali di Dedalo; parlo di quella, simil a quella del mostruoso Polifemo. Scuotetevi ormai, sonnacchioso che sete, da questi duri ceppi: dunque a queste picare venefiche, maghe, incantatrici, malefiche, superstiziose, fattocchiere e streghe volete chieder mercé? A queste artificiose, simulatrici, ladrone, linguacciute, mordaci, bugiarde dar volete voi il vostro cuor in preda? A questi fonti d'Eleusi accustarvi volete? Con queste di Epiro volete mischiarvi? Picara non è altro che un antimonio pestilentissimo, per chiuder questa tessitura, che avvelenar cerca questa nostra nobilissima massa; non è altro come vi dice no, che una fredda ed umida abitudine, dalla cui fonte altro non scorre che doglie di capo, fistule, dolori intestini, colici e iliaci, da infracidire anco le stesse pietre. Non è altro finalmente, che una novella Tisifone, che in lei, se bene rettamente mirate, non altro iscoprite ch'una vista turbata d'uno istravagantissimo talento, con chiome canute e serpentine, lacci tutti per annodar voi, vestita d'una gonna tinta tutta di sangue, istromento certo mortale per le facoltà vostre: e nondimeno questa adorate voi? Mirate il nascimento loro, cercatene i sapienti, che vi diranno che la natura particolare intendendo di sempre perfettamente operare, uscendo sì mostruoso escrementizio umore è fuori dell'intento suo e perciò formandosi questo gagliardamente nominar lo potremo mostro o vizio, non acconsentendo ella se non al meglio e più perfetto nella specie, ch'è il maschio; parlo della natura particolare, né meraviglia sia a voi questo, poiché dalla conversazione, l'uso ed il contatto alterasi tanto, ch'ella nuovi abiti imbevendosi, forza è che constituischi un nuovo composito in tutto defettizio e manchevole. Infelice voi, a che ballo vi veggo danzare? Il peggio è, che non donna amate voi, ma picara e meretrice non solo, ma di tali doti insignita, che per la sporcizia sua mi par mirar una scroffa, un lettamaio ed un sterco per la viltà sua; un vento per l'instabilità; un scorpione per la malvagità; un leone per la superbia; un dragone per la crudeltà ed infine un laccio per la tenacità e sepoltura vostra. Volete voi peggio? Peggio anche iscorgerete. Ai pazzi vezzi suoi pensate? Quid peius picara? Alle loro simulate e finte lagrimuccie credete voi? Picara dum plorat virum decipere laborat: a que' giuramenti suoi falsi, credete voi forse? Picarae iusiurandum, in vino scribe: a quelle parolete profumate? Impia sub melle venena iacent: orsù non so dirti altro, senonché un poco meglio di carità usano queste con noi, di quello che si faccia il cocodrillo, poiché quello, spento, c'ha l'uomo, si piagne e duole: e queste innanzi l'uccidano, cominciano a stridere e lamentarsi; sono maghe, credete a me, queste mariolette, queste picare che v'imbendano gli occhi e diverse cose da quel che sentite, vi fan vedere ed intanto, che bene spesso a guisa di fuggitivo Mercurio vedete e non v'accorgete sparir l'argento e l'oro che nella borsa tenete: oh rabbiosa dolcezza, oh favor ingrato, oh empia clemenza, oh barbara carità di queste arpie e pessima ed assassina compagnia leonina. Ritorno a voi. Amor come figlio di Venere innamorata di marte non porta il pennaiolo alla cintola, né di volger libri s'impaccia, ma guerriero ed armato brama esser vezzeggiato: Apollo amico de' virtuosi, che in grazia di Venere fusse, giamai non si ritrova come fu Marte, eppur voi, che in più alto seggio vi veggio dominare, di stringervi amorosamente con quella picara citerea non vi arrossite.

Sfacciata e gaglioffa picar, non ti bastava no, se dopo tante sanguinose incursioni ed incendi fatti in Siria, dove Sicia appellata fusti: nella Assiria, dove Melitea, nell'Arabia, donde Alita; nella Persia, donde Mitra, in Istmo, donde Istmia ed in Pirene, donde Pirenea, in questo anco di Spagna serenissimo giardino questo infame e nefandissimo scettro della tua sfacciatezza non ponevi? Ahi picara vigliacca: io non so come il mondo tutto non vegga e non conosca, di quanto male siano questi infami mostri cagione! E come a brancolone vadi or percotendo in questo luogo or in quell'altro, cieco divenuto affatto nel proprio bene e delirante nella propria salute? Deh chiudete il passo a queste voraci fiere che v'aspettano al varco: voi non vi movete? Saltano queste famose picare Erodiadi per la rovina vostra e non ve n'avvedete? Infausto ed importuno successo, poiché la terra già di tanti uomini adorna e forte a resistere agli oltraggi de' passati secoli, ora questo ordine di natura sdoppiato, sregolato e sconcertato abbisi a guisa di tante Idre a novellamente pullulare ed accrescere; e quello che pur è peggio, per un uomo che si vegga solo, sette ovvero otto di queste picare vigliacche, di queste balenaccie marine abbianle con questi propri occhi a mirare? Lungi, lungi da voi queste lagrime di Didone, questi pianti d'Eco, queste parole di Pallade, queste carezze di Dafne, queste promesse di Giunone e questi baci di Venere. Una volta riducetevi a questa credenza, che non nacque giamai la più abominanda ed infame fattura di questa della picara, non sapendo ella se non gli estremi abbracciare e come già disse un savio publicarsi per un perpetuo e necessario male a vista de' viventi; vengo a voi, non vedete che i Narcisi, gli Acanti, gli Amaranti e gli Giacinti furon cangiati in fiori? I vaghi capei di quella altera Medusa tramutati non furono in vivi serpenti? La bellezza di Elena tanto elegante, irreparabil danno, ruinoso incendio ed interminabil guerra non fu a' troiani ed a se stessa sempiterna macchia? Et voi da questi accidenti sì miserabili non sapete svegliarvi? Di voi è fatta tiranna questa vile e petulante picara e non parlate? Sete forse agitato da quel demone, che fa gli uomini divenir muti e sordi? Vi giuro da vero hidalgo, che sì empia sarà e traditrice con voi questa vostra bellissima picara, che poco le parerà, se col cuore vi rapirà l'anima ancora? Che bellezze dite voi? Che nuove meraviglie andate formando? Di natura stimo io sian dannoso danno, che nuoce, non solo a chi le possiede, ma a chi le mira e ricerca? Né ad altro pensano che a' danni vostri e degli altri: la picara, che cosa non può? Aggiungendo a que' amorosi spiriti, una finta lagrimuccia, un falso sospirare ed un saettare di ciglia ed un cadervi a' piedi? Filemone comico usava di dire che punto non si meravigliava di chi una volta entrasse in mare, ma sì di chi per benignità di stella uscito ne fusse, ancora ci ritornasse. Non sarà no meraviglia, che per una sol volta vinto da tanti apparati picareschi e di picara ladra e scaltra, vi ci siate colto a dormire, come adone nel seno di Venere; ma ancorché bene desto, ci ricaderete? Sono passati ormai tanti mesi che questa picara adorate e tanto vezzeggiate e che il possesso vi diede, servendola voi altresì, come cortese censuario di fede sì giustificata, non sdegnando talvolta d'impiegarvi ne' più vili e più bassi essercizi della casa, come ingegnosa ed amorevol fantesca, a guisa di quel pazzo Ercole, che per sigillo ultimo de' suoi vani amori colla conocchia e 'l fuso, per amore della reina de' Lidi si ridusse a filare; e sazio ancor non vi arrossite? Risvegliatevi ormai e ben essaminate che nulla picara bona, secondo Seneca, anzi è un fuoco che vi abbruciarà il corpo; le sostanze, sebben anco aveste con voi l'albero opio iliaco, ch'era fertilissimo di oro, l'onore e l'anima insieme, se non cercarete con l'acqua, che saranno le proprie forze, il pentimento do non seguir più oltre e la contrizione perfetta estinguerlo. Or eccomi al fine di questa sferza, che così mi giova il nominarla. Non altro di questi sepolcri imbianchiti, di questa infida generazione, di queste immagini corrotte voglio dirvi, per non irritarmi a guisa di quel antico Orfeo un stuolo di queste valdrache. Voi nella virtù e nel vizio in istrada inciampato ed abbattuto vi siete; attenetevi a chi più v'aggrada, ma ben guardate che dalla novità degli abiti sontuosi ingannato e deluso non restiate: m'intendete bene? Siete avisato e capace? Provedete a voi stesso, acciò poi non succhiando un caro pentimento, cantiate con quel fallito.

Donna m'ha fatto e picara m'ha disfatto, che non sia giamai; che ciò ch'è mala cosa, diffettuosa, malvagia, maligna, mostruosa, corrotta, rapace, si vadi con tanta ansiosa investigazione procacciando il lor stabilimento e lo esterminio altrui. Vivete meglio e ricordatevi che a guisa diquel saggio Eschile, che fuggir non puote il pericolo della tartaruga, non rimaniate percosso peggio di lui(2).

 

 

Del menante comico castigliano teniente di tutta la picaria.

Alla signora Giustina Diez di Mansiglia

 

 

Signora Giustina, cruda, acerba, incendosa; com'è possibile mai questo? Che conoscendo, sapendo e toccando con mano che io vi amo, che vi desidero e che di voi sia degno, vi contenete tanto e state renitente, pertinace e sul sossiego, aspettando i prieghi, gli ambasciatori, le suppliche, accioché pronunciate quel sì, che voi più di me desiderate, d'accettarmi per vostro amante, nella scuola picarante, per vostro amico e per vostro domestico e tuttavia pingete di non potere? E quando ciò non poteste o non voleste fare, al vostro dispetto isforzerò le carte e farò che zefiro soffiando mi conduca al porto da me bramato.

Che domine vuol dire tanta superbia, nella maggior parte di voialtre picare maledette, inique, perverse e maligne? La natura non fece il più velenoso animale di voi, né il più tiranno procedere, né il più crudele serpe di voi, né il più vizioso e malizioso del vostro sesso? Ah non sapete che l'uomo è nato prima della donna e come primogenito dovete essergli sottoposte ed ubbidienti? Ma veggo il contrario, perché con inganni, lusinghe e falsitadi voi vi avete usurpato, rubbato e truffato tutte le nostre ragioni, de iure e de facto, volendo stare sovrane, come fa l'oglio.

Ohimè come può stare questa difformità, questo mostro, questo vituperio di volerci sottomettere con audacia, con prosonzione e con minaccie: e noi uomini saremo così meschini a tolerarvi? Contentatevi in mal vostro punto, col malanno e con la mala settimana, d'essere avvantaggiate, onorate e sublimate gli quattro quinti più di noi e per farvi conoscere il vostro errore, ancorché veniate a crescere di gloria, non vi basta che voi andate vestita di seta d'ogni tempo, con perle, gioie, catene e catenelle ed anella d'oro e noi poveri martorelli si contentiamo di un sol vestito, che ne fa tutto un anno: voialtre sete le prime ai buoni luoghi in chiesa, le prime a sedere alle feste, le prime a tavola, le prime in carozza ed in barca, le prime ad esser cortegiate, le prime a ballare, le prime ad inventar foggie nuove, le prime a scemare le ricchezze del padre, le prime accomodate in casa, le prime salutate, le prime appresentate e le prime a sapere quanto si fa, quanto si dice e quanti soldi è in scrigno; e questo perché tenete tutte le chiavi e per sopravanzo sete le prime ad ingravidarsi, le prime ad impir la casa de' figliuoli e finalmente le prime a mandare in ruina ogni gran facultade: nondimeno se si parla con voialtre, si udirà dire che vi viene fatto tutti li torti del mondo, che non avete mai bene e che sete nate per continuamente stentare; tuttavia si trovano uomini ch'impazziscono e mille pene, mille angoscie e milla tormenti, per queste piccare, per queste ladre, per queste assassine sopportano; orsù contentatevi della vostra gran potenza, né mi fate aprire il libro, che vi prometto se mi strucciate di farvi venir verde e bianche come un porro; basta per ora, perché non s'ha a cicalare, ma a far fatti; con voialtre mariole non solo bisogna usar poche parole, ma un buon regimento. Et un sol cenno sufficit ad un buono intenditore.

 

Moralità

 

Dice il proverbio: gran fortuna passa, chi picara lassa; perché l'amor loro è come il fuoco della paglia, che tosto s'accende e tosto si spegne; bisogna da lor guardarsi, perché hanno più trappole, che topi e perciò: chi va tra picare e non inciampa, può ir sicuro sino in Francia; sono come il vischio, che uccello mai non lo tocchi e se lo tocca, vi lascia la piuma, perché hanno le parole di pece e di vischio. Convien fuggirle in ogni e qual si voglia modo, come saggiamente disse Lopez de Vega, ma tratto dall'italiano. Fuggi quel piacer presente, che ti dà dolor futuro: e credimi, che non è più il tempo che le civette caccavano pelliccie; guardati e guardati, che molti e molti pizzicano di picari e di picare: bisogna mirar molto bene il fatti suoi e non lasciarsi cogliere, né lasciarsi piantar un porro in man, per una cipolla.